L'Isola non la vedi fino a quando ci sei vicino a poche miglia: una linea sottile-sottile di palme da cocco, la sabbia arancione pallido della spiaggia arriva ancòra dopo, le aree coralline, infine, si scorgono per ultimo ad un centinaio di metri o addirittura quando ci sei quasi sopra. Uccelli bianchi dalla coda lunga di cui non conosco il nome ci svolazzano gridando sopra la nostra Civetta II; le Fregate, nere e bianhe, invece fanno lunghi giri, più alte, dalle ali e dalla coda a sagoma acuta. La passe è ampia e tranquilla, le mappe sono precisissime: solo il South-Reef da evitare aggirandolo tenendosi a sud come dice il nome. L'Atollo è molto grande. Acqua blu significa 50 metri o più di profondità; acqua azzurra, 12 metri per il fondo; acqua trasparente-turchina, 4 metri di morbido, caldo ed irresistibile mare. Non mi tratterrei da farvicisi un tuffo se non che c'è da fare del lavoro ulteriore per alcuni minuti: filare l'àncora. Il Comandante rallenta l'imbarcazione, attendo il segnale, poi pigio il bottone di gomma colore nero e l'anchor-winch erutta catena a ritmo di un metro al secondo. La barca si ferma, poi l'invertitore la fa indietreggiare per controllare se l'àncora tiene: un fremito del pulpito a prua, la catena si tende e siamo fermi. Tiene. Seguono alcuni minuti in cui tutto sembra fermarsi, non solo la barca, e guardo attorno: le palme verdi, il vento leggero da lato sottovento non vince sui raggi solari ed il caldo si fa sentire, le lievi onde di superficie rumoreggiano appena a babordo, i colori del fondo del mare e delle coral-head, il sole splendente. Siamo arrivati, siamo ancorati. Uno sguardo più attento lo riservo verso la spiaggia, poco più sopra della sabbia, poco più sotto delle fronde da cocco tra gli obliqui ed alti fusti per capire se ci sono costruzioni e abitanti; niente di tutto questo ma noto che fanno bella mostra un paio di vecchie e grandi amache, 4-5 smunte boe arancioni e gialle, alcune vecchie cime a fare compagnia alle boe; un paio di vecchissime àncore tipo ammiragliato completamente arrugginite e semi insabbiate fungono da monumento alla navigazione. Qui ci arrivi soltanto in questo modo, cioè in barca a vela: in soli 15 giorni partendo dalle Hawaii (U.S.A.) da nord, o da Auckland (Nuova Zelanda) da sud. Niente strade, niente aeroporti, nessuna linea di navigazione passa per di quà. Sembra la perfetta isola di mister Robinson e scopriremo dopo che è stata proprio così fino a tempi recenti.
Riprendo coscienza di me ricordandomi che l'acqua non può attendere ulteriormente… ma invece si farà attendere fino all'indomani perchè gruppi di 4-8 squali di "soltanto" un metro e mezzo circa, nuotando attorno-attorno ci faranno desistere dal bagnarci. Poi si sà come vanno queste cose: incoscientemente uno entra in acqua, l'altro sta a guardare per vedere cosa succede, gli squali vanno via… e tutti dentro! Snorkeling per ore ed ore. Devo stare attento a non scordare che non sono un pesce, e nemmeno un anfibio, e ricordarmi invece di respirare ogni tanto! Indimenticabile sarà la camminata in mezzo metro d'acqua, aspettando il livello di marea giusto, seguendo la linea del reef con le onde dell'Oceano che si infrangono a pochi metri, fino alla Pidgeon Island poco distante: 1h ad andare ed 1h a tornare. Tanti bei pesci sott'acqua a cui non ho tirato l'arpione tanto erano belli. Al centro dell'isola una piccola casetta di legno, 3 piccole stanze soltanto, residuato della 2nd-World-War, da tempo è diventata una Cruisers-Book-Exchange one-for-one, ed una Tool-Exchange: commovente. Un'altra costruzione di pari materiale da costruzione, di due piani, ospitava fino a poco tempo fa una coppia che gestiva uno Yacht Club: incredibile; essendo tutto aperto e di libero accesso ora i naviganti che fanno sosta qui ci lasciano le bandiere del proprio Paese con le firme ed i saluti. Suwarrow ora è un parco protetto dove non si può più abitare. Suwarrow la percorri a piedi tutt'attorno in un paio di ore soltanto; esplorandola raccolgo una noce di cocco verde e con una punta ci faccio un buco da cui zampilla un dolce latte che mi disseta; la lascio a terra ed in 10 minuti arrivano i granchi a finirla. Raccolgo un'ulteriore noce, questa seccata dal sole e dal vento, ed in mezz'ora di dura fatica la apro con il machete fino ad ottenere solo il suo nucleo marrone e bianco lattiginoso che porterò con me per mangiarla, la sera come dessert assieme ai miei compagni di viaggio, sul Civetta II.
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