giovedì 27 febbraio 2014

Le Due Facce della stessa Cintura


Mi ritrovo qui, di primo pomeriggio, a 15.000Km da quelli che furono la mia casa e la mia famiglia di origine, o di quello che di essi rimane dopo gli accadimenti recenti, a volgere il mio pensiero a quando vivevamo tutti assieme e sotto lo stesso tetto in una moderata felicità ed agiatezza. E non è di certo la prima volta che il passare del tempo, spesso troppo prematuramente, è stato inesorabile.
Un ricordo lampo, un piccolo numero di immagini soltanto mi si visualizzeranno nel tempo di un millisecondo che riassumeranno non di certo i momenti più belli e felici di quei tempi ma sarà un condensato di famiglia che al giorno d'oggi si potrebbe ben definire numerosa.
L'immagine prevalente è quella di mio padre, un armadio grosso dalle mani grosse pure quelle, con una cintura altrettanto grossa a reggere i pantaloni lunghi da uomo. Non ci sono dubbi che l'Uomo in famiglia era Lui. Nel nostro caso, quello della mia famiglia, uno scontato accessorio d'abbigliamento, la cintura appunto, indossata, ed usata, dal Capo Famiglia, diventerà un simbolo che tutti noi ricorderemo.
Sarà la mia sorella maggiore a provare quella cintura sulla sua pelle, probabilmente anche troppo. Mio fratello più grande invece se ne andrà di casa quasi appena maggiorenne per non saggiarne troppo di quel cuoio; io e lui siamo sempre stati lontani ma lo stesso tempo sempre vicini. L'altro mio fratello, voglio crederlo, penso sia stato troppo scaltro per subirne i suoi effetti direttamente, mentre l'ultimo dei miei fratelli, forse, l'ha assaggiata poco. Ed infine io, troppo piccolo di fronte a quell'oggetto quale furia spessa e pesante, coi buchi da una parte, e con una grossa fibbia di ferro dall'altra, pur avendola vista molto da vicino, avevo la mamma che si frapponeva tra me ed il gigante irato; ero un bimbo difeso dalla madre ma che appena vedeva la stessa troppo vicina al ciclone mi trasformavo in un piccolo eroe lanciandomi a mia volta in sua difesa.
E quando nostro padre veniva gonfiato dall'ira che gli partiva dal di dentro, quando in viso cambiava colore, quando l'espressione e le vene andavano di pari passo con il gesto di sfilarsi la cintura allora era il momento di cominciare a correre forte, se ne avevamo la possibilità e lo spazio, oppure, purtroppo per noi, ci rimaneva la misera speranza che in quel momento impugnasse la cintura dal lato del ferro, una specie di triste testa o croce, lasciando la nostra carne esposta soltanto alla violenza del cuoio.
Eravamo una normale e per certi versi benestante famiglia anni sessanta, cattolica, democristiana, abitante in un bel paesino appena al di quà della Cortina di Ferro.

sabato 22 febbraio 2014

Aspettando il Taxi Marittimo


Charles Darwin, da: "L'Origine dell'Uomo"


(…) Se un desiderio o un istinto che porta ad un'azione opposta al bene degli altri appare ancora, quando ritorna in mente, altrettanto forte o più forte dell'istinto sociale, un uomo non proverà nessun acuto rimorso ad averlo seguito; ma sarà conscio che, se la sua condotta fosse nota ai suoi simili incorrerebbe nella loro disapprovazione, e sono poche le persone tanto prive di simpatia da non provare dispiacere quando ciò accada. Se non ha tale simpatia e se i desideri che lo spingono a cattive azioni sono al momento forti, e quando ricordati non sono soverchiati da persistenti istinti sociali e dal giudizio degli altri, allora è sostanzialmente un uomo cattivo; il solo motivo restrittivo che rimane è il timore della punizione e la convinzione che a lungo andare sarà più utile agli interessi personali considerare il bene degli altri piuttosto che il proprio.
(…) Ma quando l'uomo gradualmente progredì in forma intellettiva, e fu in grado di prevedere le più lontane conseguenze delle sue azioni, quando acquistò conoscenza sufficiente da respingere costumi nocivi e superstizioni, quando considerò sempre di più, non solo il benessere, ma anche la felicità dei suoi simili, quando per abitudine, seguendo l'esperienza benefica, l'educazione e l'esempio, le sue simpatie divennero più dolci e ampiamente diffuse, estendendosi a uomini di tutte le razze, agli idioti, ai mutilati e a tutti gli altri membri inutili della società, e finalmente agli animali inferiori - allora il modello della sua moralità venne salendo sempre più in alto. (…) [C.D.]

(In foto la statua sull'isola San Cristobal - Galapagos - Ecuador dedicata a C.Darwin con a fianco gli animali simbolo di questi luoghi: il leone marino, la tartaruga gigante e l'iguana).

mercoledì 19 febbraio 2014

Riserva Naturale, le Regole sono Regole


Se pensate di venire alle Galapagos e scorazzare su e giù per mare, spiaggia e monti come volete allora vi sbagliate. Qui, praticamente tutto, è un Parco Naturale. La guida che ci accompagnerà ad un'escursione di snorkeling, tra l'altro molto ma molto bella (l'escursione), riferisce che sono attualmente in vigore circa 100 regole, ma che lui, per brevità, ce ne elencherà solo alcune: seguire lui e non uscire dai sentieri, non correre dietro agli animali, non avvicinarsi agli animali a meno di 3 metri, non prendere "souvenir" di nessun genere (sassi, conchiglie, ecc.) perchè, anche se lui non vi vede, poi, per chi prende l'aereo il controllo all'uscita vi sequestrano e multano tutto. Non intromettersi tra i piccoli e la mamma degli animali in particolare riferimento ai leoni marini (foche), non entrare nel cono di azione per una cinquantina di metri davanti al capo-branco. Non toccare gli animali tipo mante, squali, iguane, tartarughe giganti e altri di ogni genere perchè non potete sapere come reagiranno e, oltre all'eventuale morso, alcuni possono essere velenosi, molto velenosi; inoltre se li toccate, portando come esempio di nuovo le foche, trasmettete il vostro odore e profumo, e la mamma, nel caso di un piccolo, non lo riconoscerà più come suo e lo abbandonerà. Gli animali quì non conoscono nemici e predatori, e quindi tenderanno ad avvicinarsi a voi invece di fuggire come succedere normalmente alla vista dell'uomo. E' vietato pescare: se ti beccano a farlo alla traina ti mettono in galera.
Una cosa che ho notato subito arrivando da est all'Isola San Cristobal, e costeggiandola per un paio di ore, è la totale assenza di case ed infrastrutture civili come strade, fili elettrici, pontili, e nemmeno semplici capanne o ruderi. Nessuna costruzione "di signori ricchi" sulla costa. Poi arrivando al centro abitato ed al porticciolo qui si potranno trovare tutte le cose a noi famigliari.
Al nostro arrivo nei pressi del porticciolo alziamo la bandiera gialla Quebec, filiamo l'àncora ed avvisiamo via radio VHF che siamo arrivati, rimanendo poi in attesa dell'ISPEZIONE da parte dell'Autorità; nel frattempo nessuno può sbarcare o comunque allontanarsi dalla barca. Nel giro di qualche ora arriveranno, pantaloncini corti color cachi, maglietta ufficiale verde del Parco Naturale delle Galapagos, scarponi da montagna, zaino, occhiali scuri, ben 5 rappresentanti del Parco appunto, 3 della Polizia ed un rappresentante dell'Agenzia per le pratiche, 1 taxista. Il taxista, su un barchino giallo a motore con tettoia, aspetta gironzolando attorno alla nostra Civetta II con un poliziotto; un'altro poliziotto si siederà a poppa e terrà tutto sott'occhio, l'altro poliziotto entrerà sottocoperta con 4 naturalisti; il quinto naturalista starà in coperta a fare foto; anche uno dei quattro di sotto farà foto di tutto. Subiremo, "con la nostra approvazione", la perquisizione di tutta la barca ed un stretto interrogatorio e controllo. Carte e certificati di ogni tipo ed ovviamente i passaporti che tratterranno per controlli ulteriori, le fotocopie dei passaporti ed il nulla osta del porto/nazione precedente (nel nostro caso Panama). Così per un'ora circa. Le immondizie vanno separate per tipo in appositi sacchetti colorati che possiamo acquistare in paese, le quali però si potranno depositare soltanto a Santa Cruz su un'altra isola in un Centro abilitato che poi ci rilascerà opportuna ricevuta che, ovviamente, dovremo esibire prima di lasciare le Galapagos. La benzina e l'acqua potranno essere acquistate tramite un Agente e ci verranno recapitate direttamente sulla barca tramite Taxi. Vicino ad uno sportello uno dei naturalisti ci attaccherà un adesivo con la scritta "Non gettare rifiuti in mare". Non si possono scaricare acque nere e grige in mare, si dovranno invece trattenere fino a quando saremo al largo fuori dalle Isole.
Ci sequestreranno alcuni vegetali ed alcuni tipi di frutta che non sono ammessi qui, come anche latte e formaggi freschi, pesce e carne; l'idea loro è quella di non "inquinare" la zona di eventuali semi ed organismi alieni alle specie che popolano le Galapagos. I cibi in scatola ed a lunga conservazione si possono tenere. Nel frattempo arriverà anche un gommone con due sub incaricati ad ispezionare la barca sotto la linea di galleggiamento nonchè la zona di mare circostante (nel malaugurato caso avremmo avuto qualcosa da nascondere e ci fosse venuta la brillante idea di affondarla momentaneamente…). Pare tutto ok. Sganciamo centosessanta dollari a testa delle quali cento per il Parco, dieci per l'agente, cinquanta non so per chi. Poi sbarcano tutti che ringraziamo con dovuto rispetto come si usa al cospetto delle Autorità. Ci dicono che possiamo ammainare la bandiera Quebec, l'ispezione è terminata.
Dopo due giorni ci arriverà l'inaspettata notizia, e come noi altre 18 imbarcazioni (su un totale di 45) partecipanti al World ARC Rally, che la nostra chiglia per una decina di centimetri sopra la linea di galleggiamento presenta alghe e parassiti marini, e che in quello stato non possiamo rimanere nel territorio delle Galapagos. Considerando che la nostra barca in quella fascia è quasi perfetta visto che la puliamo noi a mano e con cura quasi ad ogni porto, la sentenza delle Autorità ci è sembrata un chiaro modo per spillarci ulteriori soldi: 300 dollari per la pulizia da parte di una squadra sub, autorizzata dal Parco, ed annesso fotografo che documenti il lavoro fatto con foto da presentare agli Ispettori; ma il peggio di tutto è che lo dobbiamo fare fuori dalla zona del Parco… ben 70 miglia al largo…
Qualsiasi persona, anche non competente in materia, capirebbero subito che mandare 19 imbarcazioni per un totale di circa 80 persone a bordo ed un gommone con 1 team di sub + supporto + fotografo al largo in Oceano Pacifico non è un'operazione da chierichetti della domenica mattina che si esaurisce in un paio di ore. E così sarà infatti.

Riti Propiziatori da Passaggio Equatore


martedì 18 febbraio 2014

Las Perlas (Panama) - Galapagos (Ecuador)


La tattica da adottare per questo tratto di 850 miglia (1550km circa) è questa: navigare verso sud in direzione Ecuador sfruttando il vento da nord nord-est, previsto non particolarmente forte, intorno ai 15-20 nodi, ed appena questi inizia a girare dai quadranti meridionali, presumibilmente nei pressi dell'equatore, raccordare verso ovest in direzione finale isole Galapagos godendo di una spinta al traverso. E' molto probabile trovare una zona di calma di vento che fa da cuscinetto ai due venti, ed anche presente ai lati di quello settentrionale.
Gran parte dei partecipanti al World ARC Rally invece opterà per un tiro quasi diretto... e qualcuno, addirittura, si avventurerà ancora più ad occidente per poi scendere a sud controvento. Di questi ultimi sarò curioso conoscere il percorso ed i tempi. Con la maggioranza pure noi: direzione Isole quasi in linea dritta. Tutto bene il primo giorno con vento al giardinetto come previsto ed onda massima di un metro. I successivi 3 giorni, usciti evidentemente di lato dal flusso di tramontana, ci siamo beccati le calme con mare come uno specchio degno del suo nome: Oceano Pacifico. Non lo volevo dire, certe cose si possono pensare ma non pronunciare; prima o poi l'Oceano, così grande, si riprenderà con gli interessi tutte le allusioni su di Lui e i giochi col suo nome. Dopo qualche ora, fermi, decidiamo di andare un po a motore sperando in un alito di vento, che ci faccia muovere, più avanti. Passeranno tre giorni.
Poi il vento si fa sentire, ed ovviamente è da sud-ovest, cioè soffia contro, e di bolinare manco l'ombra per non stressare l'attrezzatura che dovrà durare, si spera, ordini del comandante, altre ventiduemila miglia. Ancòra motore. Un po a vela, ed un po a motore. La Croce del Sud. Uccelli di notte ci accompagnano, tipo gabbiani, volando a fianco o davanti a prua al nostro Civetta II, per ore ed ore sotto la luce della Luna.
Nel frattempo abbiamo passato l'Equatore, e chi ama navigare mi ha riferito che, chi più e chi meno, ci sono riti da soddisfare: stappare bottiglie, brindare, mascherarsi e rendere omaggio a Nettuno e alla Barca con offerte varie; personalmente ho sfornato dei biscotti col ripieno di marmellata e tirato fuori una bottiglia di spumante dolce appositamente acquistato e tenuto nascosto per l'occasione. Na-zdravie! Girano anche delle foto dell'equipaggio, e del comandante, "diversamente agghindati"...
Sono curioso di vedere cosa mi riserveranno queste Isole considerate le più belle al mondo dal punto di vista naturalistico, geologico, ecc. Ho visto uccelli tuffarsi in mare e nuotare sott'acqua, ho visto pesci con le ali spiccare voli di decine e forse centinaia di metri, non semplici salti fuor d'acqua quindi. Vedremo.

giovedì 6 febbraio 2014

Canale di Panama, 100 anni



E' una delle più grandi ed ingegnose costruzioni dell'uomo. Il Comandante Vlado dice che dopo aver visto il Canale ci manca da vedere Cape Canaveral (base aerea dove sono partite molte missioni spaziali comprese quelle per la Luna e lo Spacelab) e poi tutto il resto è "più piccolo". Vero o meno, questo dà un idea di grande. Ci metteremo un giorno intero per passarlo, ed una settimana circa per i preparativi, le carte, i permessi e per aspettare il proprio turno. Non siamo gli unici a passare di qua, anzi potremmo essere considerati quasi degli intrusi: questo è principalmente un passaggio commerciale. Una fila molto lunga e continua di grandissime navi piene zeppe di container colorati, giorno e notte, tutto l'anno e con qualsiasi stagione, transitano d qua per portare di tutto dall'est verso l'ovest, dall'ovest verso l'est, dal Pacifico all'Atlantico, dall'Atlantico al Pacifico, dall'Oriente alle Americhe, l'Africa e l'Europa, e viceversa. L'import e l'export qui sono di casa. Senza il Canale le navi ci metterebbero circa un mese di più essendo costrette a passare a sud tra l'estrema punta Argentina e l'Antartide, oppure circumnavigare l'Africa, l'Oceano Indiano, ecc. E' stato costruito cento anni fa. E pensare che ne stanno già costruendo un altro di Canale, con le sezioni più larghe e lunghe di un trenta percento, i cui piani prevedevano il suo termine nel 2014; dicono che ci vorranno ancora un paio di anni per l'inaugurazione.
L'organizzazione è impeccabile, evidentemente in cento anni hanno avuto il tempo di "limare" gli spigoli e gli intoppi possibili, prevedendo l'imprevedibile, almeno così appare.
Noi, barche a vela provviste di motore ausiliario, veniamo legate assieme a tre a tre, di solito un catamarano al centro e due mono-scafi ai lati, a prua come a poppa con due cime a destra e due a sinistra, poi ulteriori due spring per parte. Ogni imbarcazione prima di imboccare il canale fa salire a bordo un advisor appositamente inviato dall'Autorità (non è un pilota vero e proprio anche se arriva con la barca "pilota") che sarà in contatto radio con tutti gli altri advisor e addetti al Canale. L'advisor di mezzo, quello sul catamarano, sarà il capogruppo dei tre. Il catamarano darà potenza motore per tutto il gruppo ma tutti dovranno contribuire nella direzione ed, eventualmente, in potenza motore. La procedura è lunga ed avviene piuttosto lentamente. Ricordo che ci abbiamo messo un giorno intero. Colpi di sirena e fischi a dare il ritmo ed a scandire e sincronizzare i movimenti.
Il "problema" per passare il Canale è che si deve entrare da una parte ed uscire dall'altra attraversando il Lago Gatun che stà più in alto di una ventina di metri rispetto al livello del mare.
Allora, si inizia entrando nel canale a gruppi di tre, per quattro righe, dodici in tutto, così i tempi si accorciano e si risparmiano soldi per passare altrimenti sai che botta al portafogli! E' vero che la tariffa varia secondo il peso della nave e quindi a barca il costo mi pare si aggiri sui 500-1000 dollari; per una nave grande la tariffa, dicono, si aggira anche sui 500.000 (cinquecentomila) dollari! Ma su questo punto non ho indagato in modo approfondito.
Entrati in una sezione nel canale ci si ferma e si chiudono due grandissime e potenti porte dietro le spalle; i gruppi di tre barche sono tenuti fermi al centro rispetto alle sponde del canale tramite delle cime a mano; per le navi ci sono delle piccole locomotive al posto degli uomini e le cime sono sostituite con cavi di acciaio. Avanti ed indietro, destra e sinistra, tira e molla, tutto avviene agli ordini dei advisor. L'agente che ha provveduto a tutte le pratiche con l'autorità del Canale ci ha fatto un briefing il giorno prima del passaggio; lo stesso giorno ci ha fatto visita anche un ispettore dell'Autorità a prendere tutte le misure della nostra barca, interrogarci su molti punti e caratteristiche dell'equipaggiamento a bordo, assicurarsi che il bagno/toilette sia pulito e a darci alcuni consigli su come trattare l'advisor: colazione, caffè, spuntino, pranzo, ecc. tutto da servire con buona diligenza. E' ottima cosa dare critica obbedienza all'advisor.
Chiuse le porte siamo praticamente dentro una gigantesca vasca che viene riempita di ulteriori dieci metri di acqua. Una volta piena la vasca si aprono le porte davanti dove ci aspetta un'altra vasca già al nostro livello; l'operazione si ripete e ci alziamo ancora di dieci metri. All'uscita di questa seconda vasca c'è finalmente il Lago Gatun dove passeremo la notte all'àncora a lato della zona di transito. Le grosse navi vanno e vengono, alcune si fermano per il proprio turno come noi. Il Canale ha due sensi di marcia, due corsie quindi. Gli advisor vengono recuperati dalle barche-pilota per poi ritornare la mattina seguente: la storia poi si ripete ma prima di fare l'operazione inversa, cioè di entrare nelle vasche dove invece tirano via acqua per scendere dal Lago Gatun al livello del mare, dobbiamo passare il Lago stesso per molte e molte miglia: bellissimo. Alla fine, un paio di vasche ancora e... siamo finalmente nel Pacifico! Si brinda!!

In foto Marco "Emberas" Zonca


Il Risveglio ed il Ritorno (continuazione)


Non passa molto tempo, credo, per uscire dal quel sonno improvviso, il sole è ancora alto, stimo siano trascorse al massimo un paio di ore. Ho la mano ferita completamente fasciata ed il dolore sembra svanito. Una donna seduta accanto sorride, un uomo poco distante, tutto tatuato, sorride anche lui facendomi il segno del pollice verso l'alto. Ricambio il segno e sorrido pure io!
Cosa mi sia saltato in mente in quel frangente di guardare l'uomo, il cacciatore, il guerriero, e fargli un gesto di approvazione per il suo corpo dipinto, tatuato, nessuno me lo saprà mai spiegare. Da lì a poco saliranno alla capanna altre due donne con una ciotola nerastra ed alcuni strumenti molto simili a dei pennelli, per dipingermi. La bellezza di quelle indigene, i capelli neri, i colori, il loro seni (e di questa parola quasi mi vergogno a pronunciare) di cui io, e penso come me la gran parte degli europei, non sono abituato alla vista in modo così naturale, mi rimarranno impressi per sempre.
Mi rimarrà impressa per sempre Panama. Il ritorno a "casa" alla nostra Civetta 2, la nostra barca ormeggiata a Shelter Bay,  avverrà appena un paio di ore dopo che le donne avranno finito di dipingermi di nero con i loro disegni tribali, prima che sopraggiunga il buio. Tre Indios mi accompagneranno con la loro canoa, attraverso un labirinto di acqua e piante, un ora e mezza di viaggio, non molto distante da una strada, arteria di "civiltà", che raggiungerò facilmente a piedi una volta sceso da quella silenziosa canoa e salutato quegli uomini così semplici, così umani e naturali.

lunedì 3 febbraio 2014

Gli Indios (continuazione)


Li guardo. Mi guardano. Sono in tre, piccoli un metro e cinquanta circa, scalzi, tatuati dalla testa ai piedi, uno ha in mano un machete, gli altri due solamente un lungo bastone a mò di lancia. I loro visi non trasmettono nulla, continuano a guardarmi scrutando quel lungo uomo bianco venuto nel loro, evidentemente, territorio. Non mi passa minimamente per la testa che siano lì per caso, l'unico ad essere lì per caso sono io. Siccome la profondità dell'acqua mi consente di stare in piedi, anche se il livello mi arriva fino alla gola, l'unica cosa che mi vieni in testa di fare è di alzare all'aria la mano ferita che dopo pochi secondi fà vedere i numerosi tagli grondanti di sangue. Uno di loro mi fa cenno di uscire dall'acqua indicandomi il punto migliore per farlo situato proprio sotto di loro. Mi faccio largo tra il fango e tra le numerose piante galleggianti, alcuni rami e radici sommerse, la cascatella che incessantemente dà il suo contributo al laghetto, e giungo a riva dove uno degli Indios mi allunga una mano ed in un attimo, quasi di peso, con un braccio potente mi solleva tra di loro. Ne scorgo altri due più arretrati, sono in cinque in tutto. Sono gli Indios Emberas.
Una lunga canoa ricavata da un grande albero mi farà arrivare, assieme ai cinque indigeni, al loro villaggio. Non dico nulla, non mi chiedono nulla. Scambiano tra loro alcune parole in un linguaggio che non comprendo proprio appena prima di salire sull'imbarcazione. Forse sto sognando ma non c'è verso di svegliarmi. E' tutto incredibilmente vero. Dodici capanne poco distanti dal fiume, o dal lago non lo so, che per evitare di essere raggiunte dai capricci dell'acqua durante la stagione delle piogge sono saldamente costruite su delle palafitte alte circa tre metri. Un paio di pigri cani si alzano qualche secondo, gironzolano per poi coricarsi nuovamente all'ombra. Galline beccano il terreno. Bimbi schiamazzano, e alla mia vista si avvicinano in silenzio a guardarmi. Donne di varie età, indaffarate in varie faccende, si affacciano dalle pareti di paglia e legno. Alcune sono proprio belle, altre meno, coperte solamente da un pareo colorato. Sono tutti scalzi. La mano mi fa male: devo avere alcune spine ancora dentro. Il sangue si è quasi fermato. Per il resto sto bene. Il villaggio è costruito in una radura ed al suo centro il sole batte con tutta la sua forza e qui, a pochi gradi di latitudine nord, si fa proprio sentire. Fa molto caldo.
Mi indicano una capanna dove salgo tramite una scala ricavata da un tronco di una ventina di centimetri di diametro, appoggiato quasi in verticale, con pochi gradi di inclinazione, all'ingresso dell'unica stanza della casa. Non c'è il passamano... mi concentro per stare in equilibrio e non cadere nuovamente! Mi fanno sedere sul pavimento e mi offrono da bere un liquido biancastro dal sapore vagamente di limone, servito in una ciotola ricavata da una noce di cocco. Di noci qui sono pieni. E dopo un paio di minuti una sonnolenza irresistibile mi fa chinare il capo in un primo momento, raddrizzo la testa sforzandomi di tenere gli occhi aperti, poi sento la necessità di sdraiarmi, poi... poi... non ricordo... gli occhi mi si chiudono e cado addormentato.

domenica 2 febbraio 2014

Il Richiamo della Foresta


La passione per le passeggiate in montagna e nei boschi mi segue anche qui in Centro America. Come non rimanere attratti da questa natura, quasi invadente, che guardata dal mare appare verde e rigogliosa fino a pochi centimetri dal mare salato, indomita nei confronti sia del vento che dall'implacabile andirivieni dei riflussi e delle onde. La stessa natura, ammirata dal suo bordo terrestre, può sicuramente incutere timore ed immenso rispetto. Non si vede nessuno entrarvici: scimmie che urlano in modo assordante, coccodrilli sonnolenti nelle acque stagnanti, tronchi e rami che si stagliano nei cielo come pure nel terreno umido a grondante, anche troppo spesso, di acqua piovana che più e più volte al giorno fa sentire la sua presenza. Tra questi un infinità di altri essere viventi più o meno grandi, insetti, uccelli, e quanto altro la natura è capace di produrre.
Ma il richiamo della Foresta che, lo ricordo, da queste parti tra la Colombia, il Guatemala e Panama si chiama Jungla, è troppo forte per non lasciarmi attrarre in una toccata-e-fuga al suo interno, quasi un bagno di verde scuro, verde, verde chiaro, marrone e nero, forse un'immersione in una specie di fonte battesimale per una rinnovata rinascita.
Poche cose porto con me, quello che l'esperienza suggerisce e l'incoscienza tace. La guida di me stesso sarà ancora una volta la stessa persona, colui che mi accompagna in ogni luogo e tempo, cioè io. Chi migliore compagno di se stessi? Chi può essere più instancabile, più critico, più compiacente, più sognatore e fedele compagno?
Le prime centinaia di metri sono veramente faticose: il "bosco" è quasi impenetrabile. Dopo un po l'andatura migliora un po quando, per istinto o per fortuna, trovo una linea piuttosto percorribile che mi permette alcuni chilometri di spostamento. Si scivola, mi tengo in equilibrio sui rami, sulle radici, sulle foglie gigantesche. Si sprofonda nel fango anche trenta centimetri a tratti. Ancora un paio di chilometri e poi ritorno indietro, penso. Cicale, o cosa di preciso non lo so, assieme al canto degli uccelli e tutto il resto, scimmie che gridano allarmate, tutti assieme sono assordanti. E' anche vero che non saprei cosa dovrei ascoltare se tutti loro facessero silenzio... forse me stesso che mi suggerirebbe di non tornare indietro per optare, invece, per un percorso circolare. Nel frastuono mi ascolto ugualmente. Altri chilometri nel verde. Una salita, poi una discesa ripida. In questa zona l'acqua un po prevale e si esprime con forme di pozze, rivoletti, cascatelle ed il fango è più chiaro e ancora più scivoloso e le scarpe non fanno presa: scivolo. Ed è proprio qui che la mano, la quale usualmente mi regge salda, in un passaggio improvvisamente trova le spine al posto del solito sicuro ramo di legno liscio o ruvido. Non reggo al dolore delle punte che mi si infilzano profondamente nella carne: urlo. D'istinto mollo la presa e le punte acuminate dalla forma conica escono facilmente della mano ferita, e tento un'altra presa, con l'altra mano, su un altro ramo o qualcosa che fermi la mia inevitabile caduta a corpo libero. Anche la seconda mano fallisce la presa trovando solamente un ciuffo di inconsistenti fili d'erba. Sono gambe all'aria, segue un tonfo sordo e finisco nel rivoletto. E' uno scivolo viscido e lungo. Non riesco a fermarmi e dopo qualche metro il rivoletto è un piccolo fiumetto marrone di acqua e fango, poi si tramuta in una cascatella, una ventina di metri ed io, assieme al flusso liquido, sbuco nel vuoto. Un salto di 3-4 metri mi farà arrivare in un laghetto, o meglio in una pozza, e finisco nel buio sotto acqua e sotto il fango. I due o tre secondi per riemergere a riprendere fiato sono lunghi ma alla fine rivedo la luce, e dopo aver ripreso la funzionalità di messa a fuoco della vista, con mia immensa sorpresa mista ad una misurata e poco prevalente paura, vedo cosa mi si presenta davanti oltre al marrone del laghetto, tra il verde nelle varie tonalità vedo nitidamente alcuni colori vivi, giallo, blu e rosso, e solo istanti dopo scorgo la sagoma dei proprietari di quei colori apparentemente fuori luogo: gli Indios!